domenica 28 marzo 2010

pulse#130: NIOBE (Tomlab, DE) + Petrina (djset!) Domenica 28/03/2010 @ Pixelle

A.S.U. in collaborazione con Pixelle presenta:

Pulse#130:

NIOBE (Tomlab, DE)
niobe with flowers
http://www.myspace.com/niobeniobe
Selezione musicale pre e post concerto a cura di PETRINA http://www.myspace.com/deborapetrina
Domenica 28 Marzo h.22
@ Circolo Arci Pixelle, Via Turazza 19/4 - Padova


Dopo l'apparizione mattutina al South by Southwest (SXSW), la deliziosa ed intrigante Niobe si addentra longitudinalmente in Italia con una manciata di date, al che non abbiamo resistito all'opportunità di riproporvela nella dimensione che riteniamo a lei molto adatta, quella del piccolo club.

Per l'occasione è in arrivo l'intervista realizzata in occasione della sua esibizione in apertura al SSF09, insieme a quella rilasciata dal suo connazionale e collega per quella sera, l'eccezionale Guido Moebius.
Sotto trovate solo la parte relativa a Niobe, sul post di competenza invece trovate entrambe le interviste, quindi passate a leggervi anche quella di Guido Moebius, qui.

Prima di lasciarvi al materiale preconfezionato (mica nell'accezione negativa del pane da toast del supermarket, eh... solo nel senso di precedentemente preparato da prodi recensori), un ringraziamento a Petrina che si è resa disponibile per questo esperimento che la vede nelle inedite vesti di selecter dietro ai cdj del Pixelle.

partiamo con la scheda redatta da Enver in occasione del SSF09: "Yvonne come Yma (Sumac), Cornelius nel nome del compositore giapponese. Niobe e l'etichetta Tomlab stanno come un millepiedi in cento scarpe: indietronica anni Zero, vocalismi lounge-jazz sulla soglia dell'età pensionabile, equilibrio tra vuoto e pieno, leggerezza tropicale. Una linea sottile unisce "Voodooluba" e "White hats" all'album più recente, "Blackbird's echo", uscito a maggio e che vede tra i produttori dj Olive e David Grubbs: interessante sarà osservare come nell'era della piena riproducibilità tecnica la tedesca di Colonia tradurrà sul palco tanto minimalismo elettro-acus(ma)tico, così fragile, così fascinoso, faraway/so close..."

per continuare con l'intervista, sempre al SSF09, di cui si parlava poco sopra, a cura di Daniela Cia

Che impressione hai avuto di questa prima serata del festival?
Ah, fantastico ottimo pubblico tutti molto attenti; da non crederci ...
I tuoi show sono carismatici, in particolare la tua immagine sul palco sembra riproporre quella delle dive del passato. C'è una figura femminile nel cinema o nella musica che ti affascina o in cui ti rivedi?
Questo è una sorta di inconveniente che si presenta spesso. Adoro le gonne ed in generale gli abiti tradizionali, ma quando sono sul palco sono più che altro concentrata sulla mia voce. Il mio artista preferito in verità è William Kentridge , un uomo quindi, credo sia uno degli artisti più grandi del mondo, è lui la mia fonte di ispirazione. Ha lavorato per la biennale dove è considerato una superstar, è molto apprezzato per i suoi video e i suoi disegni. Penso spesso ai soggetti dei suoi film e talvolta cerco di comporre con la mia musica una sorta di colonna sonora a quelle immagini.

Blackbird's Echo esalta il lato più soul della tua voce. Si tratta di una sorta di rottura con il sound glitch electro che ha fin qui caratterizzato tutti gli altri tuoi dischi. A cosa è dovuta la scelta di virare verso un suono molto più fisico e terrestre?
E' stata un'idea della mia etichetta, sono venuti a sapere che New York la mia musica è molto apprezzata ed in particolare ad alcuni musicisti avrebbe fatto piacere lavorare con me. Quindi la Tomlab un giorno mi ha detto: "ti abbiamo preso un volo per New York e andrai lì 5 settimane a lavorare in uno studio e loro suoneranno i tuoi pezzi". Si tratta di musicisti eccezionali tra cui John Zorn e molti altri che lavorano spesso con lui. L'idea era appunto quella di completare l'album in modo che alcuni brani contenessero delle parti orchestrali o comunque di jam così li abbiamo riarrangiati. E'stata un'esperienza nuova lavorare in un'orchestra.

Di che cosa parlano le tue canzoni? C'è un tema ricorrente ?

I mondi paralleli. Le descrizioni di mondi di amore molto romantici e strani, sono tutti nella mia testa voglio precisare, non credo negli alieni o negli ufo, ma mi piacciono queste realtà parallele e il tentativo di entrare nel cuore delle persone e tirare fuori il lato sognatore ed emotivo.
Questa prima serata del festival ha visto la Germania protagonista, tu e Guido Moebius vi eravate mai incontrati prima?

Si ci conoscevamo già, ci siamo incontrati spesso a Berlino, lo apprezzo molto come artista.
Colonia la tua città e la Germania Ovest in generale ha dato i natali a band del calibro di Can, Kraftwerk, ti sei mai sentita affascinata da questa scena, magari anche prima di iniziare con la musica?
Colonia ha avuto un'influenza decisiva su di me. Io sono cresciuta a Francoforte a 200 km da Colonia, lì sei nel vivo dell'atmosfera atmosfera creativa e della scena culturale, anche a Dusseldorf soprattutto per la scena noise: i Neu, Stockhousen. Questa gente viene tutta da qui per cui un sacco di ottima musica e stimoli importanti.
Come è nata la collaborazione con Mouse on Mars ?

Eravamo amici, ma ci conoscevamo musicalmente non personalmente. Poi a loro è piaciuto molto un mio disco e mi hanno chiamata dicendomi che avevano assolutamente bisogno di me e così ne è uscito Radical Connector (2004 ndr). Tutto ciò mi ha certamente molto lusingato ed è stato motivo di crescita.
Abbiamo già detto che il tuo album è stato registrato a NY, da lì oggi escono nomi molto interessanti : Animal Collective, Black Dice, Dirty Projectors. Ti piacciono questi gruppi? E credi che il tuo album abbia assorbito qualcosa del "sound" attuale di NY?
Wow, stiamo parlando di band che io adoro. In particolare i Dirty Projectors li ho anche incontrati, sono inoltre una grande fan degli Animal Collective e attualmente ascolto spesso gli Hecuba sempre un duo newyorkese, ma non posso dire che il loro sound mi appartenga artisticamente, no non credo. Come dicevo l'artista che più mi rappresenta in questo momento è William Caridge.

Chi è la seconda voce in "Time is kindling"?

Oh è David Grubbs, lui è davvero una star ed è simpaticissimo. Gli ho proposto di cantare insieme una canzone volevo che il tema fosse la telepatia e lui mi ha detto subito di si, dovevo dargli solo il tempo di scrivere il testo. Così ha scritto le parole e mi ha quasi sconvolto quanto si adattasse perfettamente alla musica che avevo composto io. Si è trattato di vera e propria telepatia.

Cosa stai ascoltando ultimamente?

Yma Sumac. Poi ho ascoltato per la prima volta nella mia vita West Side Story su disco, non il film. Se vedi il film West Side Story ti viene da storcere il naso, tutta questa gente che balla e canta... non l'ho mai sopportato, il film. Poi ho sentito West Side Story by Leonard Bernstein; oh mio dio è pura ispirazione e assolutamente moderno, questo disco di Leonard Bernstein è semplicemente incredibile.


e per finire una dettagliata presentazione dell'artista Niobe e del suo recente Blackbird's Echo a cura della sua agenzia.

La musica multi-sfaccettata di Niobe gioca con la contrapposizione tra la sua voce calda e quasi dark e i suoni manipolati, talvolta irriconoscibili. Gli effetti elettronici estendono e piegano i suoni degli strumenti acustici, i ritmi minimal accompagnano le strutture frastagliate, piccoli fendenti formano continuamente nuovi e fantastici immagini puzzle. Le composizioni di Niobe diventano vive con le loro interruzioni e i cambi inaspettati, senza però chiedere mai troppo agli ascoltatori. Niobe combina volutamente frammenti provenienti da diversi generi ed epoche musicali: i motivi del piano rhodes richiamano la musica jazz, un brano al piano conduce alla musica classica moderna, un riff alla chitarra o al basso evoca un feeling blues. In mezzo troviamo disturbi elettronici e suoni spaziali, battiti elettronici minimal e astrazioni programmate. Per passare dal drum&bass all'esotica, Niobe ha bisogno solo di un paio di battute: a volte i suoi pezzi sono come perfide decostruzioni, come sottili dissezioni create usando un bisturi molto tagliente. Il suo quinto album Blackbird's Echo è stato registrato a New York. Aki Onda, che è stato coinvolto come produttore d'onore, ha messo insieme una gruppetto di bravissimi musicisti di New York che provengono da background musicali molto diversi e hanno apportato una vasta gamma di elementi all'album. Tutti i musicisti che hanno dato il loro contribuito a Blackbird's Echo hanno iniziato a lavorare dal materiale preregistrato da Niobe a Colonia. La maggiore parte dei testi sono stati scritti da Niobe e gli altri co-autori conosciuti già nel suo album precedente: St. Lindemer, Roberto Cabot and Janeta Schude. La linea guida per tutti i musicisti coinvolti è stata quella di tirare fuori la loro propria versione e visione delle canzoni. Blackbird's Echo segna una certa rottura con l'artificialità aggressiva che ha sempre caratterizzato Niobe, ma ciò nonostante riesce a dimostrare la sua determinata caparbietà lungo tutta la durata dell'album. Anziché nascondersi timidamente di fronte ai contributi di Trevor Dumm (contrabbasso), Shelley Burgeon (arpa), Doug Wieselman (clarinetto), David Grubbs (voce e organo) e molti altri, Niobe riesce a integrare queste parti all'interno del suo personalissimo sound design. Non è sorprendente che il suo lavoro affascini per la riccchezza di sonorità, profondità e varietà che bisogna assolutamente scoprire.



venerdì 26 marzo 2010

Intervista: Guido Moebius + Niobe - Pulse#109, SummerStudentFestival09 @ Giardini Mensa Piovego

Questa volta vi proponiamo due interviste, con riferimento alla prima giornata del Summer Student Festival 09...
Purtroppo manca l'estratto video, ma nella apertura del festival, non ci è riuscito di documentare la serata. Amen. Per quanto riguarda Niobe non mancheremo di recuperare nella sua imminente data padovana al Pixelle, Pulse#130.

SSF09 13.06.2009 Guido Moebius + Niobe

Il festival si apre con una line up teutonica doc: attacca Guido Moebius e chiude Yvonne Cornelius in arte Niobe. Lui ben lontano dallo stereotipo del musicista artefatto, con fare curioso si intrattiene a chiacchierare un po’ con chiunque gli vada a genio. Performance stimolante e la sua, anche per chi fosse completamente a digiuno di loop e sintetizzatori c’è stato di che divertirsi sia nell’ascoltare spensierati sia nel vedere proiettati dietro il procedere su e giù di piedi e pedali. Niobe molto più diva, dotata di un sorriso disarmante si aggira invece per il festival in una mise d’altri tempi degna di un film di Sergio Leone. Set incantevole e suggestivo con tanto di chiusura con una revisione onirica sul tema di Brasil.

Guido Moebius

Ti sei divertito? Che impressione hai del festival?

È un festival davvero molto carino, il tempo è fantastico e lo show è andato bene, è una bella serata.

Concordo, il pubblico era attentissimo e rapito dalle immagini della camera fissa sui tuoi piedi, anzi qual è la tua opinione in merito all’uso del video durante il set, lo trovi funzionale alla performance o semplicemente ti fa sentire meno solo sul palco?

Ho osservato che la maggior parte dei live in cui il laptop fa da protagonista sono noiosi, guardare un artista che guarda un computer ti da l’impressione di non sapere se stanno controllando la mail, facendo musica o se sta andando un cd e manca solo una tazza di tè. Per cui ho pensato che una camera che permetta di vedere quello che faccio sia il metodo migliore per permettere alla gente di seguire un mio set. Usando molti pedali la situazione è molto più dinamica e con il tempo ho scoperto tutti questi loop e da qui mi sono sbizzarrito sommandoli, scomponendoli, un po’ di tutto.

L’ultimo album Gebirge ha una direzione che va diritta verso il funk e la dancefloor, c’è tanto ritmo e bisogna dire che durante il live si sente come ti diverti a spingere i bassi il più possibile. Questo dice forse qualcosa su un tuo passato da dj?

Intendi come dj in un club? Si certo e lo faccio ancora adesso volentieri, attualmente non faccio musica da dancefloor, ma hai ragione, comparato agli altri due album ques

to è molto più carico e danzereccio, ci sono più suoni, bassi e cose simili.

Berlino è una città che affascina e persuade sempre più giovani artisti (e non) a spostarsi lì e a cercare fortuna, tu che ci vivi da anni cosa ne dici?

È una città grande, tantissima gente continua a trasferirsi perché è ancora economica, credo sia attualmente la capitale europea, ma forse addirittura nel mondo, in cui il costo della vita è più basso. Esistono un sacco di spazi per l’arte e la musica, gli affitti stanno salendo ovviamente ma la cosa bella, che è anche allo stesso tempo una cosa brutta, è che tutto ora è concentrato lì; perché è facile vivere e soprattutto pensare si mantenersi con i tour, le performance d’arte ecc. Cosa che ad esempio è del tutto impensabile a New York che è al contrario davvero troppo costosa. A me di Berlino ora piace in particolare tutta la scena noise che si è formata intorno a Neukölln, un quartiere in piena espansione artistica davvero vivace, di certo molto più interessante oltre che economico di Kreuzberg.

Hai mai suonato in una band?

Si facevo parte di una band; ero il cantante. Risale più o meno a 6 anni fa; ero a Colonia e il gruppo si chiamava Krank (significa malato) siamo andati avanti piuttosto a lungo non era male, poi però io mi sono trasferito a Berlino in un gruppo che si chiamava Blinker dove suonavo chitarra e le tastiere.

Da cosa cominci a comporre i tuoi pezzi? Parti da una linea vocale, da un rumore, dalla chitarra?

E’ sempre diverso, anche le cose che escono nel live sono molto diverse dall’album, anche perché non ci trovo nessun senso nel riportare esattamente quello che registro in studio in uno show mi risulterebbe anche troppo complicato. Comunque a volte è una linea melodica altre un suono, a volte altro; i pezzi cambiano radicalmente durante tutto il periodo di lavoro.

Ti va di raccontarmi un po’ dell’Autopilot music publishing?

È un’agenzia di pubblicità che ho creato io, mi sono occupato di artisti anche importanti come Vert, F.S. Blumm… Ad esser sincero attualmente è più che altro il lavoro che mi permette di guadagnare qualche soldo, anche perché suonare dal punto di vista economico è qualcosa più vicino ad un hobby. Poi fare il produttore musicale non mi dispiace, lo sono ormai da 10 anni.

Ti sei divertito a lavorare all’ultimo album di Vert?

Con Vert, oh beh si è stato divertente ma mi sono occupato in verità solo delle percussioni, di cantare qualche volta o muovere qualche sonaglio niente di più per ora .

So che ami suonare diversi strumenti, i suoni che usi per la tua musica sono quindi tutte registrazioni tue?

Si in parte li so suonare ma non tutti, ad esempio per il violino ho chiesto ad una cara amica che nell’album Gogol ha anche cantato e in un modo che io non avrei mai potuto né fare né immaginare. Lei è formidabile sia con la voce che con percussioni in generale.

L’ultimo album che hai ascoltato prima di venire qui?

Era ieri sera, ascoltavo Black to comm, il progetto drone noise di Daniel Richter un artista d’arte contemporanea molto interessante di Amburgo.




NIOBE

Che impressione hai avuto di questa prima serata del festival?

Ah, fantastico ottimo pubblico tutti molto attenti; da non crederci …

I tuoi show sono carismatici, in particolare la tua immagine sul palco sembra riproporre quella delle dive del passato. C’è una figura femminile nel cinema o nella musica che ti affascina o in cui ti rivedi?

Questo è una sorta di inconveniente che si presenta spesso. Adoro le gonne ed in generale gli abiti tradizionali, ma quando sono sul palco sono più che altro concentrata sulla mia voce. Il mio artista preferito in verità è William Kentridge , un uomo quindi, credo sia uno degli artisti più grandi del mondo, è lui la mia fonte di ispirazione. Ha lavorato per la biennale dove è considerato una superstar, è molto apprezzato per i suoi video e i suoi disegni. Penso spesso ai soggetti dei suoi film e talvolta cerco di comporre con la mia musica una sorta di colonna sonora a quelle immagini.

Blackbird’s Echo esalta il lato più soul della tua voce. Si tratta di una sorta di rottura con il sound glitch electro che ha fin qui caratterizzato tutti gli altri tuoi dischi. A cosa è dovuta la scelta di virare verso un suono molto più fisico e terrestre?

E’ stata un’idea della mia etichetta, sono venuti a sapere che New York la mia musica è molto apprezzata ed in particolare ad alcuni musicisti avrebbe fatto piacere lavorare con me. Quindi la Tomlab un giorno mi ha detto: ”ti abbiamo preso un volo per New York e andrai lì 5 settimane a lavorare in uno studio e loro suoneranno i tuoi pezzi”. Si tratta di musicisti eccezionali tra cui John Zorn e molti altri che lavorano spesso con lui. L’idea era appunto quella di completare l’album in modo che alcuni brani contenessero delle parti orchestrali o comunque di jam così li abbiamo riarrangiati. E’stata un’esperienza nuova lavorare in un’orchestra.

Di che cosa parlano le tue canzoni? C’è un tema ricorrente ?

I mondi paralleli. Le descrizioni di mondi di amore molto romantici e strani, sono tutti nella mia testa voglio precisare, non credo negli alieni o negli ufo, ma mi piacciono queste realtà parallele e il tentativo di entrare nel cuore delle persone e tirare fuori il lato sognatore ed emotivo.

Questa prima serata del festival ha visto la Germania protagonista, tu e Guido Möebius vi eravate mai incontrati prima?

Si ci conoscevamo già, ci siamo incontrati spesso a Berlino, lo apprezzo molto come artista.

Colonia la tua città e la Germania Ovest in generale ha dato i natali a band del calibro di Can, Kraftwerk, ti sei mai sentita affascinata da questa scena, magari anche prima di iniziare con la musica.

Colonia ha avuto un’influenza decisiva su di me. Io sono cresciuta a Francoforte a 200 km da Colonia, lì sei nel vivo dell’atmosfera atmosfera creativa e della scena culturale, anche a Dusseldorf soprattutto per la scena noise: i Neu, Stockhousen. Questa gente viene tutta da qui per cui un sacco di ottima musica e stimoli importanti.

Come è nata la collaborazione con Mouse on Mars ?

Eravamo amici, ma ci conoscevamo musicalmente non personalmente. Poi a loro è piaciuto molto un mio disco e mi hanno chiamata dicendomi che avevano assolutamente bisogno di me e così ne è uscito Radical Connector (2004 ndr). Tutto ciò mi ha certamente molto lusingato ed è stato motivo di crescita.

Abbiamo già detto che il tuo album è stato registrato a NY, da lì oggi escono nomi molto interessanti : Animal Collective, Black Dice, Dirty Projectors. Ti piacciono questi gruppi? E credi che il tuo album abbia assorbito qualcosa del “sound” attuale di NY?

Wow, stiamo parlando di band che io adoro. In particolare i Dirty Projectors li ho anche incontrati, sono inoltre una grande fan degli Animal Collective e attualmente ascolto spesso gli Hecuba sempre un duo newyorkese, ma non posso dire che il loro sound mi appartenga artisticamente, no non credo. Come dicevo l’artista che più mi rappresenta in questo momento è William Caridge.

Chi è la seconda voce in “Time is kindling?

Oh è David Grubbs, lui è davvero una star ed è simpaticissimo. Gli ho proposto di cantare insieme una canzone volevo che il tema fosse la telepatia e lui mi ha detto subito di si, dovevo dargli solo il tempo di scrivere il testo. Così ha scritto le parole e mi ha quasi sconvolto quanto si adattasse perfettamente alla musica che avevo composto io. Si è trattato di vera e propria telepatia.

Cosa stai ascoltando ultimamente?

Yma Sumac. Poi ho ascoltato per la prima volta nella mia vita West Side Story su disco, non il film. Se vedi il film West Side Story ti viene da storcere il naso, tutta questa gente che balla e canta... non l’ho mai sopportato, il film. Poi ho sentito West Side Story by Leonard Bernstein; oh mio dio è pura ispirazione e assolutamente moderno, questo disco di Leonard Bernstein è semplicemente incredibile.

Interviste a cura di: Daniela Cia


martedì 23 marzo 2010

pulse#129: Brian Harnetty (Atavistic, USA) + Jeremy Woodruff, MA 23.03 @ La Mela di Newton, PD


A.S.U. in collaborazione con la Mela di Newton presenta:

Pulse#129:
Brian Harnetty (Atavistic/Ruminance, USA)

harnetty
[ Sperimentale / Folk / Ambient ]
http://www.myspace.com/brianharnetty http://www.brianharnetty.com/

+
Jeremy Woodruff (USA/DE)
http://www.jeremywoodruff.de/



Martedì 23 Marzo @ Circ. Arci La Mela di Newton
Via della Paglia, 2 - Padova


Novità
occorsa nel frattempo: il set di Harnetty sarà aperto da Jeremy Woodruff, che lo accompagnerà anche durante il concerto. Di quest'ultimo, a dirla tutta, sappiamo pochino: sappiamo che è un compositore americano ma vive a Berlino (dai?), che suona il flauto e il sassofono e fa parte della Elliot Carter Band. Ah, e che ha un sito da cui si posson scaricare le sue composizioni. In PDF, però... Vedremo.

Su Harnetty, invece, c'è materiale in
abbondanza, da cui si evince che prima di balzare agli onori di recensioni e copertine di riviste del settore a causa del disco edito l'anno scorso con Bonnie Prince Billy, "Silence City", il soggetto in questione ha senza dubbio studiato approfonditamente la materia, e tale materia si può definire "il sound Appalachiano", su cui Harnetty ha scartabellato archivi, recuperato testimonianze sonore, field recordings, programmi radio su cassette e chissà cos'altro, per un totalino non indifferente di 40 ore di materiale audio, per la maggior parte proveniente dal Berea College Appalachian Sound Archives, nel Kentucky. Sembrerebbero più le premesse per un'interessante conferenza che per un concerto, se non che Harnetty, diplomato in composizione alla Royal Academy of Music a Londra, approccia quello che poteva rivelarsi un'accademico episodio di archeologia musicale, dal punto di vista del sound artist, in grado di esprimere una sintesi personale del materiale selezionato, ricontestualizzata nel presente. Ne esce un primo album, American Winter del 2007, sempre su Atavistic, concettuale, a tratti freddo nella sua accezione documentaristica, ma di sicura efficacia evocativa. Durante la lavorazione ad American Winter, riporta Harnetty, la sensazione di captare nel materiale d'epoca i tratti distintivi della voce e della musica di Will Holdham é costante, tanto che decide di contattarlo: ne nasce una corrispondenza epistolare che però non riesce a trovare sfogo immediato sul versante musicale fino appunto all'anno scorso, in cui i due si incontrano in uno spazio appropriato e prende forma "Silent City", in cui Bonnie "Prince" Billy canta su tre tracce, come solo lui sa fare.
A riguardo vi lasciamo con due ottime recensioni: la prima, quella di Onda Rock, la trovate qui di seguito, mentre l'articolo che the Wire ha dedicato al disco,
questo in inglese, è l'ultimo.

Chiudiamo menzionando il fatto che Harnetty è membro del Fossil Fools art collective ovvero un gruppo di artisti che si propone di creare opinioni e discussioni relative alle fonti energetiche tramite performance ed installazioni. Harnetty inoltre è stato tra gli artisti (insieme tra gli altri a Matteah Baim, Eat Tapes e Wang Inc) che hanno risposto alla call del simpatico progetto belga Audio Forest/Radio Forest: è stato proposto di fornire delle tracce audio in cui i musicisti reinterpretavano i "suoni della foresta" secondo la propria personale poetica (per capirci, mentre Harnetty è andato in giro per Ohio, California e Maine a caccia del field recording più rappresentativo, Eats Tapes ha riprodotto con sintetizzatori analogici i suoni dei grilli e di tanti altri animaletti che popolano la foresta...). Lo scopo di tutto ciò? Stabilire la reciprocità sonora tra il bosco e la superstrada che
rumorosamente l'atraversa. La stazione radio, posta nel bosco, ritrasmette agli automobilisti in transito i suoni della foresta, su apposita frequenza FM. Per chi avesse dubbi, c'è il disegno, qui.


"Harnetty, come nei precedenti album, traccia anelli di congiunzione tra il passato e il presente con registrazioni rurali, voci catturate dalla radio, campionamenti che si uniscono a una strumentazione acustica a base di banjo, campanellini, piano giocattolo, fiddle, senza dimenticare il blues che tanto caratterizzò il suono delle prime band folk americane.
Quaranta minuti di musica silenziosa, sfuggente, ricca di atmosfera, il termine drone, altrove abusato, potrebbe calzare a pennello per molte delle incursioni sonore di Harnetty.
L'incanto che si realizza nella title track è solo un esempio della grandi intuizioni dei due musicisti, mentre in "The Top Hat" tutti gli strumenti vibrano verso un'unica, affascinante direzione, confondendosi in armonie e groove che si intercettano, una sintesi mirabile di folk e avantgarde che merita attenzione.
Hannerty usa i sampler in modo unico, gli strumenti e i ritmi non seguono una struttura tonale lineare, creando molti contrappunti col delizioso canto di Bonnie "Prince" Billy, anche i sampler delle voci si caratterizzano per le loro seducenti imperfezioni e per la mancanza apparente di musicalità, la bellezza è sprigionata con forme nuove e misteriose, la musica diventa un racconto che s'incrocia con le memorie e le istanze evocate dalle voci.
Toni più caldi e suggestivi spronano le creazioni di Harnetty verso lidi ipnotici, la voce di Bonnie "Prince" Billy raccorda i preziosi e insani ritmi di "And Under The Winesap", il concetto di folk rurale viene riscritto e svuotato di armonie superflue, la fragilità diventa la forza armonica di momenti preziosi come "It's Different Now", un suggestivo insieme di voci e suoni cristallini.
In "Silent City" ogni suono acustico o elettronico, nel suo interagire con l'elemento umano, diventa frutto naturale della memoria collettiva, le parole danno movimento a ogni episodio dell'album.
Come in ogni buon disco, non manca un piccolo capolavoro di perfezione emotiva e si chiama "Some Glad Day": solenne, liricamente robusto, il brano rappresenta l'alchimia sublime del nuovo folk rurale che diventa arte, dentro c'è il sogno, la vita, la morte, la poesia; tutto diventa un unico archivio di emozioni e speranze.
L'estasi finale di "To Hear Still More", costruita su harmonium e piano, fuga ogni dubbio sull'essenzialità di questo progetto. "Silent City" è un album dal linguaggio sonoro originale e forte, un punto di partenza per il futuro della nuova musica folk americana, i due musicisti fondono folk e musica elettronica un po' alla maniera di Eno e Byrne in "My Life In The Bush Of Ghosts", anche se una maggiore frammentarietà e un minor fascino esotico impediscono a "Silent City" di approdare all'eccellenza."
Gianfranco Marmoro, OndaRock.


ecco l'articolo di The Wire su Silent City di Harnetty:
"Two years ago Brian Harnetty, an ex-student of composer Michael Finnissy, released American Winter, an emotional encounter between his own music and a trawl through the Appalachian Sound Archives of Berea College in Kentucky. Some of its eeriest moments occur off-camera, as it were. During the opening piece "The Night Is Quite Advancing", an elderly woman is digging deep in her memory for words to a song she hasn't sung since she was a girl. Suddenly a gulf opens up and we hear her shock: "I've lost track! That did something to me - scared me to death." The final track, "We'll Look For You If We Come Back", captures an awkward moment between the archiving recordists and a toothless gent; is he asking for money, or maybe just trying to persuade them to keep him company a little longer? The process of collecting old songs is exposed as a strange, unpredictable human interaction, where subjects may tumble backwards into disturbing memories. While working on American Winter, Harnetty says, he "kept hearing elements of Will Oldham's voice in the old recordings", and started corresponding with the singer. He hoped to persuade Oldham (aka Bonnie 'Prince' Billy) to sing on that record, but schedules did not permit the collaboration until now. Silent City is another powerful personal statement in which the distant past and present are interwoven. Harnetty juxtaposes archive recordings with his own piano, banjo and accordion, and this odd co-existence generates a new poetic context for the bygone voices. Working like a novelist, he has immersed himself in an archive of field recordings - slices of past lives - and now emerges to create a new text, breathing new life into old chunks of sound by radically recontextualising them. Silent City is a more accessible album than its predecessor: Harnetty has reduced the surface complexity of his music, and raised the temperature by adding the warm tones of an electric piano. The core is still Harnetty's own piano, accordion and harmonium, but he has assembled a small group to flesh things out: drums, trumpet, vibes and clarinet. Lyrics were pieced together from folk song fragments (pulled from Berea recordings) and phrases drawn from Harnetty's memories of his father's rural hometown. The underlying concept is an amble around a small rural town. We seem to peer in at windows, each one from a different period of the past. Some of the archive elements recall the debut album - a track dissolves into the scrape of a foot-stamping folk fiddler, or a radio announcer from half a century ago stumbles while introducing the next live act. Harnetty's piano doesn't drive the music in a conventional manner, more as if it were a set of tuned bells, hanging notes around the room like decorations. "Well, There Are A Lot Of Stories" finds Harnetty's father reminiscing about prison life, surrounded by suspended chords on clarinet and accordion, and propelled forwards by Sam Paxton's drums. Alarmingly, Harnetty Senior used to play with the local prisoners as a schoolboy: "They were killers; and I was never afraid all the time I was there, hell, I could run faster than any of them." Elsewhere, "Papa Made That Last Verse Up" dives headlong into a long-ago parlour full of cackling laughter and family versions of a comic song. Amidst all of this, Oldham contributes three substantial vocal performances. Harnetty likes vocal and backing simply to share the same space, rather than neatly interlock, and Oldham's voice is deployed here somewhat as the cobwebby archive tapes were on American Winter, creating a further slippage between the present and past. Oldham's singing is fragile but firm, adding both mystery and focus to the album. "And Under The Winesap Tree" floats his vocal across Harnetty's accompaniment as if the singer is dimly recalling the song from his youth. "Sleeping In The Driveway" is a love song from a timid admirer, watching a girl asleep in her car, hearing the radio quietly playing, not daring to approach. The high point is "Some Glad Day", where Oldham dips a tad lower in his vocal range and comes up with a lovely evocation: "Brick-making prison; tobacco in the grass; some glad day we'll all arrive." The song, for all its otherworldly drift, works like a hymn, in which only the first line changes for each verse. This is the experimental end of Bonny 'Prince' Billy's oeuvre: gentle and solemn, it recalls his Get On Jolly (2000) collaboration with Dirty Three member Mick Turner, where the lyrics were picked from devotional verses by Bengali poet Rabindranath Tagore (1861-1941). Harnetty's teacher Finnissy has long been developing his own take on folk music. In the late 1970s he wrote and performed a raucous, unsentimental piano suite called English Country-Tunes. For this two-fingers-aloft project the accent was firmly on the first syllable of the second word. For him the piece was "most simply, a totentanz - a dance of death, a lament, a wake - celebrating arcadia, the product of a long fantasy tradition of 'rural innocence'... The remainder is made up of a series of responses to, meditations and variations upon, the 'issue' of folk-music, and how one integrates it now (with meaning and vitality) into 'art-music'." Well, putting quotes around all your terms is a start. Finnissy's bracing counterblast against English pastoralism was a way of wresting folk song back from the clammy hands of Vaughan Williams. Meanwhile Brian Harnetty creates a space to work with a wealth of American folk, parlour music, radio shows and roaming archivists. Silent City weaves a melancholy spell of chiming pianos and vibraphones, much aided by Paxton's lowkey but eloquent drumming. By the closing "To Hear Still More" - backwards piano over purring harmonium bass - we are in deep, under the music's hypnosis." Clive Bell the wire magazine october, 2009



Some Glad Day from Brian Harnetty on Vimeo.



Sleeping in the Driveway from Brian Harnetty on Vimeo.

venerdì 19 marzo 2010

Pulse#127: Be Maledetto Now! (Boring Machines) + King of Tuna + djs: Monti & Blondie Equal Stupid @ Pixelle VE 19.03.2010

Pulse#127

BE MALEDETTO NOW! (BORING MACHINES)















+ KING OF TUNA















+ DJs: Monti (Abusers) // Blondie Equal Stupid // Pulse



Venerdì 19 Marzo h. 22 @ Circolo Arci Pixelle
Via Turazza 19/4 - Padova

martedì 9 marzo 2010

pulse#126: Mark Trecka (Bloomington, USA) @ La Mela di Newton, Ma 09 Marzo 2010

A.S.U. + La Mela di Newton,

presentano:

pulse#126


Mark Trecka (Bloomington, USA)


http://www.myspace.com/marktrecka

MARTEDì 09 marzo 2010, ore 20:45
@ La Mela di Newton, via della Paglia, 2 - Padova

Benvenuti dunque ad un altro episodio di instant promotion, questa volta in combutta, oltre alla Mela di Newton, anche con Boring Machines.

L'artista in programma domani sera si chiama Mark Trecka: fondatore, percussionista e vocalist della band statunitense Pillars and Tongues, in Italia in questi giorni per presentare il proprio progetto solista. Già vocalist e batterista in suolo americano per sua folkità Bonnie Prince Billy, Mark Trecka proporrà alla Mela il suo lavoro solista centrato sulla sua splendida voce calda e piena di soul, e sull'uso di vari strumenti: chitarre acustiche, ukulele e percussioni.
Ha da poco registrato delle sessions in Francia con l'amico Vincent Dupas aka My Name is Nobody uscite in due volumi intitolati "The Wolf Pit Sessions".


invece per chi non c'era venerdì scorso a godersi l'ora e mezza di puro divertissement, includiamo anche la mela-versione dell'hit di Eugene Chadbourne segnalatovi nella precedente newsletter, qui, sperando di arrivare presto con materiale definitvamente editato
(qui si muore dalla voglia di postare la splendida versione per banjo di "Breaking The Law Everyday")

Sempre sul versante documentazione sul blog trovate
interviste e riprese, rispettivamente di:
Carla Bozulich's Evangelista

Sylvain Chauveau
the Dodos
Yacht



PROSSIME DATE:

pulse#127: Ve 19 marzo Be Maledetto Now + King of Tuna + DJs TBA @ Pixelle

be maledetto now
http://www.nihilisme.org/bemaledettonow.html

pulse#128: Sa 20 marzo Gomma workshop @ la Mela di Newton
http://www.myspace.com/gommaworkshop

pulse#129: Ma 23 marzo Brian Harnetty (USA) @ la Mela di Newton
http://www.myspace.com/brianharnetty

pulse#130: Do 28 marzo Niobe (DE) @ Pixelle
http://www.myspace.com/niobeniobe

pulse#131: Ve 23 aprile Terrible Eagle (USA) @ Pixelle

http://www.myspace.com/terribleeagle

venerdì 5 marzo 2010

Pulse#125: Eugene Chadbourne (House of Chadula, USA) VE 5 Marzo @ La Mela di Newton, Padova

A.S.U. + La Mela di Newton, presentano:

pulse#125


EUGENE CHADBOURNE

(USA, House Of Chadula)


[Country / Sperimentale / Jazz]
http://www.eugenechadbourne.com/
http://www.myspace.com/eugenechadbourne


VENERDI' 05 marzo 2010, ore 20:45

@ La Mela di Newton, via della Paglia, 2 - Padova

Ce l'abbiamo fatta: ad ottobre la tentazione di organizzare anche una data padovana oltre a quella all'Elefante Rosso era stata forte, poi si era deciso di essere pazienti: prima o poi, instancabile giramondo, sarebbe tornato a tiro!
E così è successo: Doctor Eugene Chadbourne sarà (di nuovo) con noi venerdì prossimo, scarrozzato per l'italia da Marco Bernacchia/Above the tree...

Per l'occasione abbiamo montato un breve spezzone dal concerto del 30 ottobre scorso all'Elefante Rosso: il brano più easy, e di sicuro appeal, sia per il classico citato, -nientedimenoche- "Roll Over Beethoven" di Chuck Berry (!!), che per il degno destinatario della cover (Chadbourne entra infatti nel novero dei molti artisti che platealmente, magari con la chitarra in mano, si domandano "ma come mai è possibile che un popolo controcazzuto come quello italico sia alla mercé di sì disgraziata classe politica?", tipo Matt Elliott al SSF08, per capirci...),
Il video lo trovate nell'unico posto possibile: qui!

Contiamo di montare presto o tardi un altro brano, sempre dal concerto all'Elefante Rosso, e magari direttamente accompagnato da uno di quelli suonati proprio domani alla Mela.

Sempre sul versante documentazione, abbiamo postato sul blog la combo "video & intervista" collegata a pulse#105, suonava, oltre a Father Murphy e Congs for Brums, Carla Bozulich con il suo progetto Evangelista. Il video (lunghetto ma merita!), é del brano "Crack Teeth" tratto da "Prince of Truth", Constellation, 2006, e va ad aggiungersi alle altre interviste e riprese, rispettivamente di: Sylvain Chauveau the Dodos Yacht

Per pigrizia, eccovi copincollato quanto scritto su Chadbourne ad ottobre: ha tuttora validità, specie considerata la sua più che trentennale carriera...

Leggete dunque e diffondete, ma soprattutto ci si vede lì: venerdì alle 8e3quarti alla Mela.


Sul blog trovate anche qualche video, inclusa una lunga intervista/studio session, succosa e illuminante (e sì! c'è anche il rastrello elettrico, tranquilli...), ma in rete è più che pieno di spezzoni live di diverse annate, datevi da fare!

Oltre invece trovate un emblematico report di un suo live (da Sentireascoltare) che la dice lunga su ciò che vi perdereste nel caso non veniste!


EUGENE CHADBOURNE (USA, House of Chadula)
eugene

Dr. Eugene Chadbourne ha 55 anni, suona la chitarra, il banjo e molto altro.
Improvvisatore blasfemo di country western, Chadbourne e' il piu' eccentrico ed eterodosso dei solisti creativi. Contaminato dai miraggi e dagli incubi della civilta' psichedelica, erede della musica totale di Zappa e del musichall politico dei Fugs, ma immerso fino al collo nella "trash culture" (cultura della spazzatura) dei punk, ha coniato il linguaggio musicale piu' eretico e blasfemo della sua era. In maniera del tutto coerente con la sua fondamentale incoerenza, ha scelto l'innocuo country come struttura portante di tanto fracasso.

Alla fine degli anni settanta (dopo aver brillantemente risolto il dilemma "Canada o Vietnam?") Eugene improvvisa con John Zorn e Tom Cora a New York.

Gli anni 80 si aprono con il rockabilly demenziale e dissonante degli Shockabilly, lui intanto fissa il suo acido impegno politico, poi si aggiunge ai Camper van Beethoven, sempre coverizzando il mondo intero, fa dischi con They might be giants et alter.

Negli anni 90 ritrova e scompagina folk e country, scambia la chitarra elettrica con quella acustica, creando così un sound totalmente personale, in cui la sua indole di improvvisatore rumorista rivolta sorniona sonorità più traditional.

Il percorso continua, tra sfilze di dischi e nastri autoprodotti e collaborazioni eccellenti non solo nel mondo del jazz, incontrando musiche antipodali ed esotiche, per consegnarci oggi un artista incredibilmente eclettico, capace di performance surrealmente avant ma al contempo esilaranti e caustiche, capaci di frullare musiche altre, d'altri e d'altri tempi sempre all'insegna di un buon umore iconoclasta.

Collaborazioni con: John Zorn, Violent Femmes, i nostrani Zu, Sun City Girls, Elliot Sharp, Fred Frith, Derek Bailey,They Might be Giants, Keiji Haino, Marc Ribot, David Toop, Susie Ibarra, Tom Cora, e ci fermiamo qui...


ecco la recensione del concerto

Eugene Chadbourne Museo Della Musica Bologna (24 Febbraio 2009) Comicita e ricerca musicale, parodia e eclettismo. Eugene Chadbourne dimostra ancora una volta che la musica sperimentale può andare tranquillamente a braccetto con il country, il noise, il metal e il clownesco. Alla faccia di chi pensa che la musica sperimentale (d'avanguardia, anticonformista o come diavolo la si voglia chiamare) sia per forza una roba noiosa e di chi crede che i musicisti "impegnati" debbano (chissà per quale motivo, poi) essere barbosi bacchettoni che suonano per un pubblico elitario e serissimo. L'altra sera, nella saletta del Museo della Musica di Bologna, Eugene Chadbourne ha dato prova del contrario, dimostrando che la comicità può andare perfettamente a braccetto con la ricerca musicale, senza che quest'ultima perda di credibilità. E lo ha fatto a modo suo, con quell' inconfondibile stile da americano giramondo, capace di adattarsi a qualsiasi platea e, soprattutto, a generi musicali distanti anni luce tra loro. Solo con un banjo e una chitarra, il musicista statunitense, noto per le sue svariate collaborazioni (da John Zorn a Fred Frith, da Jello Biafra a Derek Bailey, fino ai romani Zu), è riuscito ad ipnotizzare i presenti per un'ora e mezzo con uno show esilarante e capace di abbracciare, in poco più di un giro d'orologio, mondi musicali agli antipodi. Senza tanti convenevoli, Chadbourne ha esordito con una serie di brani country, che spesso e volentieri si dilatavano, sfociando in improvvisazioni free, con il banjo trasformato in un ibrido tra uno strumento a corde e una percussione.Dopo una mezz'oretta eccolo imbracciare la chitarra elettrica, distorta e compressa all'inverosimile, e lanciarsi in una serie di cover. Are You Experienced? Di Hendrix sarebbe praticamente irriconoscibile sotto le sferzate noise della sei corde, se non fosse per l'ormai classico stop and go con la declamazione della frase che da il titolo al brano. Dal rumorismo estremo al suono chiaro e limpido ci passa un colpo al pedale degli effetti. Ed ecco il Nostro esibirsi in un duetto (degno di un imitatore di professione) tra Bob Dylan e Louis Armstrong sulle note dello standard Stardust. Ma non c'è sosta e il pubblico non ha ancora smesso di ridere che arriva la sua personale rilettura del classico del classici del rock'n'roll, Roll Over Beethoven, trasformato per l'occasione in un geniale "Roll over Berlusconi"! La comicità musicale di Chadbourne possiede l'efficacia che solo i grandi attori riescono a suscitare, tanto è raffinata e mai grossolana. E, soprattutto, imprevedibile. Quanto meno te lo aspetti, il vecchio Eugene ti mostra il pezzo da novanta, tirando fuori uno strumento di sua invenzione: il rastrello "elettrificato" (!). Chadbourne gironzola per un quarto d'ora esplorando tutte le sfumature del rumore con il suo nuovo arnese, ora graffiando il pavimento,ora sfruttando il suono del contatto elettrico con le luci. Non importa che sia un concerto gratuito e che ai presenti potrebbe già bastare. Lui è in vena, il pubblico anche e quindi, imbracciato di nuovo il banjo, ricomincia con le sue deliranti melodie pseudo country. In questi casi ci si può solo lamentare del fatto che tutte le cose, prima o poi, finiscono. Eccezionale. Daniele Follero


mercoledì 3 marzo 2010

Estratto video: Eugene Chadbourne's Roll Over Berlusconi - pulse#115 @ Elefante Rosso (VE)

Ecco montato un breve spezzone dal concerto del 30 ottobre scorso all'Elefante Rosso: il brano più easy, e di sicuro appeal, sia per il classico citato, -nientedimenoche- "Roll Over Beethoven" di Chuck Berry (!!), che per il degno destinatario della cover (Chadbourne entra infatti nel novero dei molti artisti che platealmente, magari con la chitarra in mano, si domandano "ma come mai è possibile che un popolo controcazzuto come quello italico sia alla mercé di sì disgraziata classe politica?", tipo Matt Elliott al Summer Student Festival 08, per capirci...),

il brano è:
Roll Over Berlusconi

PULSE#115:: EUGENE CHADBOURNE (USA) @ Elefante Rosso (Venice) from Pulse Data on Vimeo.

Estratto video + Intervista: Carla Bozulich 's Evangelista - pulse#105 @ Stalker Reloaded

Pensavate che i video e le interviste fossero finiti? Abbiamo sempre con noi videocamera e registratori vocali per mostrarvi cosa vi siete persi o cosa avete avuto la fortuna di vedere!
Questa volta vi offriamo

video+intervista
PULSE#105 - CARLA BOZULICH'S EVANGELISTA

il brano è:
Crack Teeth
tratto da:
Prince of truth (Constellation, 2006)



Padova, Stalker Reloaded 24/01/2009


La sua è una storia complicata, fatta di estremi e già ricca di collaborazioni nell’underground musicale americano sul finire degli anni '80. Questa sera è qui con il nuovo progetto Evangelista per presentare il suo ultimo Hello Voyager.

Come sta andando il tour?

Carla: Sta andando molto bene, ci stiamo divertendo. Alcuni concerti sono stati delle belle esperienze, Roma ad esempio è fantastica, la gente è positiva e devo dire che è piacevole soprattutto quando sei di cattivo umore...

Ti senti sempre a tuo agio con la figura di donna drammaticamente tormentata con cui vieni dipinta? Hai mai l’esigenza di venire presa meno sul serio a prescindere dal tuo passato?

Carla:

A dire il vero tutta la mia vita di tutti i giorni è colma di risate e gioia, soprattutto tra me e Tara Barnes, la bassista, è addirittura difficile starci dietro perché ridiamo continuamente. Ad ogni modo sono consapevole che anche quando sono triste o arrabbiata sia ok, è la mia vita, è il mio modo di essere, in fondo sono felice la maggior parte del tempo. E’ fondamentale essere sè stessi e non cercare di apparire forzatamente diversi. Comunque no, non mi preoccupo dell’ascoltatore, non mi interessa fare musica leggera, non fa per me anche se poi mi piace ascoltarla. C’è una band ad esempio, i Celebration : sono americani e la cantante è incredibile, è buona musica ma non è il genere di messaggio che posso dare io. Lei è incredibile, è puro divertimento! C’è un sacco di musica come questa che mi piace, ma la mia più grande soddisfazione è comunicare scavando dentro di me tirando fuori le cose e portando le persone magari anche a riflettere.

Come ti senti nei confronti di tutte le donne che si riconoscono nei tuoi pezzi e che attraverso la tua storia sentono dare voce alle loro esperienze di violenza? Non è una responsabilità a volte fin troppo grande?

Carla:

E’ una domanda interessante. Io non credo si tratti solo di donne comunque, è per chiunque voglia ascoltare col cuore, è ciò che accade con la musica in generale: c’è una forza e una potenza che ciascuno può prendere e custodire per rendersi più forte in una qualsiasi situazione complicata, in particolare diventa utile se le si affronta insieme attraverso la musica. So che suona banale ma lo penso davvero. A volte è importante essere arrabbiati e tirar fuori tutto per essere in grado di esprimere le cose che non riusciamo a dire, perché tendiamo a controllarci e ad agire come persone “normali”, ma io non credo esista la condizione di “normale”, è un mito. Quello che mi sento di suggerire è di allontanarsi da questo modo di pensare così costruito.

Sei stata anche definita madrina dell’alt country, ma nel tuo percorso hai attraversato generi molto diversi. Mahler, George Jones, Patty Smith hanno mutato la tua visione della musica negli anni. Vuoi parlarmi un po’ di questi tuoi cambiamenti continui?

Carla:

Per me la musica country è un genere fantastico, mi è sempre piaciuto molto cantarlo, ma ancora più che l’alt country mi piace il country tradizionale, l’old style country. Nella mia band precedente, i Geraldine Fibbers, si può notare la differenza: se ascolti i pezzi il mixaggio è quasi assente, suonano country appunto; certo poi c’è del noise, rock o altra musica, ma questi sono i riferimenti di genere.

Ciò che preferisco per quanto riguarda il coutry è cantare vecchie canzoni di George Jones. Devo ammettere di relazionarmi meglio con pezzi maschili, se devo cantare delle cover: li sento molto più miei. Comunque, considerando i vari generi, mi sono appassionata a tanti tipi di musica: amo suonare e scrivere cose diverse. Ciò da una parte non ha fatto troppo bene alla mia carriera musicale, ma è stato ottimo per il mio sound. A volte è controproducente perché ho realizzato album che sono piaciuti ad alcuni fan e poi magari un altro disco in cui gli stessi non trovano più quel tipo di suono. Certo non succede sempre, ma a volte capita che qualcuno si allontani.

Il tuo percorso musicale è ricco di personalità molto forti. Cosa ti ha lasciato l’esperienza al fianco di Lydia Lunch o Mike Watt? O se preferisci raccontami delle esperienze passate con Neon Veins, Invisible Chains e Ethyl Meatpow.

Carla:

Uh Lydia Lunch è favolosa, bellissima, è un mostro di poesia: lei dice la verità, la sua verità, per me molto vicina alla perfezione. E’ controversa, esprime cose nelle quali credo e di cui io ho ancora difficoltà a parlare perché non voglio urtare nessuno, ma per lei è molto più importante parlare delle cose. Non lo fa per essere aggressiva, nella realtà è dolcissima e la ritengo la persona più carismatica che io abbia mai incontrato; davvero consiglio di andare a vederla perché è incredibile. Tutti quelli che assistono ad un suo show poi sentano l’esigenza di incontrarla perché è un personaggio unico. Ad esempio, lei sostiene che avere figli ora è la cosa peggiore che si possa fare, sia per il mondo che per il bambino stesso. E’ una posizione interessante e per la mia esperienza anche condivisibile; io ho scelto di non avere figli, più probabilmente ne adotterò uno anche se la maggior parte delle persone ne vogliono uno proprio. Ad ogni modo questo era solo un esempio per darti un’idea di Lydia.

Mike Watt… per me è il miglior simbolo del punk rock tra tutti quelli che ho conosciuto. Ho interiorizzato la maggior parte dei miei principi non solo da lui ma da tutta la band i Minutemen, sono cresciuta nella loro stessa città: San Pedro. Mike Watt è un uomo fantastico e incredibilmente affascinante, è un grande appassionato di Storia, non solo recente: ha fatto degli studi approfonditi e credo potrebbe senza problemi insegnare. E' un pozzo di sapere tutte le volte che ci parli e poi è più vecchio di me, ma è incontenibile: va pazzo per il kayack! Lo fa ogni giorno nella baia di San Pedro, dove ci sono delle cascate potentissime. E tutte le mattine alle 6 di mattina lui è lì se qualcuno fosse interessato ad incontrarlo… (risate).

Questo è Mike Watt, formidabile!

Quanto è importante l’improvvisazione in Hello Voyager ? Ti va di confrontarlo ad Evangelista?

Carla:

L’improvvisazione per me è molto importante perché spesso mi annoio, da qui la mia tendenza a spaziare tra vari generi. Improvvisare è eccitante perché puoi anche fallire, ovviamente succede che non suoni bene… diciamo che c’è la giusta dose di rischio, quel pizzico di pericolo che fa sembrare tutto più eccitante. Allo stesso tempo è fantastico quando riesce: se improvviso qualcosa e viene bene è un grande traguardo, un completamento.

Cosa mi dici della copertina di Hello Voyager? Hanno un qualche significato particolare quei gatti disegnati?

Carla:

Mmm non so se sono veramente gatti..Lo sono per te?

Credo sia l’idea che più si avvicina. Cosa sono?

Carla:

Beh sono gatti.. (risate).

E’ un lavoro di Nadia Moss, una bravissima pittrice di Montreal: ha fatto le copertine dei due dischi oltre che suonare l’organo in entrambi. E’ una donna molto profonda e simpatica. E' buffo perché i suoi lavori appaiono così seri, e lo sono sicuramente, non sto minimizzando, ma credo che lo humor sia una componente altrettanto importante.

Comunque, non so se siano realmente gatti, probabilmente dovrei chiederglielo la prossima volta. Di certo ha disegnato tante piccole creature. Non so cosa significhino esattamente, ma so che vogliono comunicare qualcosa ai tuoi occhi quando li guardi. Non li trovi carini? Vogliono comunicare qualcosa riguardo all’essere strani, complessi…

Ai miei occhi sono una via di mezzo tra esseri umani e animali…

Carla:

Sì, è esattamente questo, ed è quello che sono io: donna e animale. Secondo me il miglior modo di sentirsi.

Il progetto Evangelista comprende tanti altri musicisti appartenenti tutti all’etichetta canadese Constellation. Questo è il secondo per loro, come ti stai trovando?

Carla:

E’ bellissimo, l’Hotel2tango studio è fantastico ed Efrim Menuck è ovviamente il tecnico del suono. Ora torneremo lì per registrare a febbraio anche il terzo album con Evangelista e lui ci seguirà di nuovo. Efrim produce molta musica, ma c’è di più, a lui non piace neanche essere definito produttore per cui non saprei come chiamarlo. Le sue idee sul nostro lavoro ci hanno fatto riflettere su diversi punti ed è stato importante perché i suoni uscissero nel modo giusto.

Comunque sì, registrare a Montreal è stato molto importante per Evangelista. Non so spiegarti esattamente il motivo, ma è parte del disco ed è buffo perché quando abbiamo registrato il primo album era inverno e faceva un freddo spaventoso, qualcosa come 14 gradi sotto lo zero ed era pericolosissimo addirittura stare 2 o 3 minuti fuori all’aperto. Credo questo abbia molto influito sull’album, si percepisce una certa intensità. Se ci fosse stato più caldo probabilmente non sarebbe uscita. Mi piace molto lì: ne guadagna la musica, adoro le persone, ci sono artisti, grandi musicisti e se giri per le strade sei travolto dalla loro creatività, ci sono poster che spiccano come opere d’arte, flyer, adesivi, musica. E' una città estremamente stimolante.

Beh, a tal proposito anche l’Italia mi pare di intuire ti sia di grande ispirazione…

Carla:

Mi piacciono la Spagna, il Portogallo: la parte sud ovest dell’Europa è quella che preferisco. In Italia mi sono sentita a mio agio, fin dalla prima volta che sono venuta qui e non parlavo una parola di italiano. L’esatta sensazione che ho provato scesa dall’aereo è stata:” I’m home”. Mi piacciono le persone e mi diverto sempre un sacco, sarà per il cibo e per il vostro modo di fare. Amo l’Italia.

E per di più questa sera ti vedremo suonare insieme ai Father Murphy, una band italiana che hai caldamente richiesto insieme a te stasera.

Carla:

Abbiamo suonato parecchio con i Father Murphy, anche negli Stati Uniti. E' un gruppo che mi piace moltissimo, adoro Federico, spero capiti sempre più spesso di suonare insieme, è una bella emozione.

Abbiamo fatto quattro concerti credo un anno o un anno e mezzo fa, non ricordo bene. Ho avuto subito la sensazione che fossero molto forti e interessanti, fanno veramente dei bei pezzi ed è un piacere vederli lavorare… così precisi, poi si stimano tutti molto l’un l’altro. C’è una bella atmosfera.

Per concludere, cosa stai ascoltando volentieri in questo periodo?

Carla:

Ieri sera ho ascoltato Billie Holiday. E' la prima volta dopo 10 anni. La adoro. E' buffo che io abbia fatto passare così tanto tempo; ad ogni modo ho pensato che fosse il caso di riascoltarla. Hai presente quando smetti di ascoltare qualcosa per un po’ di tempo e poi la riscopri ed è ancora più bello? Ci sono alcuni gruppi di Los Angeles che mi piacciono veramente molto: i Gaunt, ci ho suonato non tanto tempo fa, era lo stesso tour con Father Murphy, ma ora stanno facendo uscire un album nuovo per cui… Poi c’è un altro gruppo che si chiama Miss Cincinnati, sono in tre e suonano solo canti da marinaio; c’è in particolare la ragazza con cui ho suonato a lungo, Jessica, e suona il violoncello, mentre il suo ragazzo Jeremy suona la chitarra, fanno una sorta di musica sperimentale: prendono questi canti da marinaio e li impreziosiscono di atmosfere, una sorta di ambient ricca di suoni astratti. Danno realmente vita ai pezzi anche visivamente: questa é la loro caratteristica maggiore. Infine ascolto molto Nels Cline, uno dei migliori musicisti con cui io abbia mai collaborato , da poco è uscito un suo album dal titolo Coward che mi piace molto.

Intervista a cura di Daniela Cia

Riprese: Giulia Tirelli
Montaggio: Giulia Tirelli e Sergio Pigozzi
Videro realizzato in collaborazione con Punto Video Toselli