domenica 14 febbraio 2010

pulse#124: Jackie-O-Motherfucker (Fire, USA) @ Pixelle Do 14.02.2010 + Dragging an Ox through Water

A.S.U. [Associazione Studenti Universitari] e PIXELLE presentano:

Pulse#124:
Jackie O' Motherfucker (Fire records, USA)
jackie
http://www.myspace.com/jomf http://www.uzuaudio.com

+ Dragging an Ox through Water (Awesome Vistas, USA)
dragging an ox
http://dragginganox.blogspot.com/
http://www.myspace.com/dragginganox

Domenica 14 febbraio, h.21.45 @ Pixelle, Padova

San Valentino per noi sarà questo: niente cioccolatini indigesti, cenette a lume di candela, bensì un doppio set rock psichedelico che si preannuncia notevolissimo, ultima tappa italiana del supertitolato progetto del dinoccolato Tom Greenwood, i Jackie O' Motherfucker, introdotto in apertura dal set di Dragging an Ox through Water, ovvero Brian Mumford, membro anch'esso dell'attuale formazione di JOMF...
Adorati da Sonic Youth e Mogwai, collaboratori di Godspeed You! Black Emperor, incensati dalla stampa specializzata di mezzo mondo (uno su tutti, The Wire ha dedicato loro la copertina qualche tempo fa), i Jackie-O Motherfucker sono uno dei pochi gruppi che potrebbe stare contemporaneamente in un volume dell'Anthology Of American Folk Music come pure in una raccolta della Knitting Factory, in una teca dello Smithsonian Institute come in un basement berlinese. Già il nome li introduce senza vie di mezzo, con quella O grande in mezzo intenta a gettare petrolio su fiamme profanatrici.
JOMF è American Folk Music ma non solo. Nel tempo, ha attraversato il jazz più d'avanguardia, al suono delle radici si è unita la costante necessità di andare oltre,e il risultato è quanto di più psichedelico si possa ascoltare nel panorama musicale odierno: chitarre che suonano come sitar, percussioni, tape loops, xilofoni, sax, clarinetti, voci fino ad evolvere nel suono attuale, più "compatto" e, in un certo senso space rock.

"Jackie-O Motherfucker ha sviluppato una liberatoria estetica di armonioso rumore, come un baluardo contro le forze del conservatorismo e della mercificazione."

Edwin Pouncey The Wire.

La stampa specializzata ne fa dei paladini della New Weird America, the Wire dedica loro la copertina nel dicembre 2002, ma i Jackie-O Motherfucker non si adagiano sugli allori, anzi: negli ultimi 15 anni si sono costantemente evoluti, con una ridda di membri e collaboratori che si alternano intorno al pilastro Tom Greenwood secondo l'idea di collettivo "aperto" I Jackie O Motherfucker si formano nel 1994 attorno al sassofonista Nester Bucket e al dinoccolato chitarrista Tom Greenwood.
Si sono alternati all'interno della band circa 20 elementi sparsi su tre citta' (Portland, New York, Baltimora), a seconda degli spostamenti dei leader. Dagli esordi su etichette di culto quali FishEye e Roadcone (su questa -di cui non riesco ahimè a fornire riferimenti web- è poi uscito nel 2001 l'album Liberation che valse loro la succitata copertina di The Wire, oltre ad una ventina di titoli a nome di personaggi chiave della scena: Thurston Moore, Loren Mazzacane Connors, Alan Licht, Vibracathedral Orchestra e Califone e Rollerball) grazie al loro sound capace di evocare folk music, field recordings, psychedelia, e noise, i Jackie-O si affermano rapidamente come dei congiuratori sonici in grado di spaziare attraverso l'avanguardia di varie epoche, conquistando un numero crescente di estimatori e fan.
La musica infatti attinge da fonti disparate rielaborando poi il tutto secondo una tradizione riconducibile agli anni Sessanta-Settanta. L'ambizione e' quindi quella di una sorta di musica totale che assorbe e disintegra allo stesso tempo elementi della tradizione americana, psichedelia, free jazz...
Gli anni recenti li hanno visti agitatori di molte situazioni culto dell'indie rock globale, a cominciare dalle partecipazioni al famigerato All Tomorrow's Party per la cui etichetta è uscito la ristampa dei due "WOW" e "The Magick Fire Music", inizialmente editi rispettivamente da Fish Eye e dalla thurstoniana Ecstatic Peace.

Recentemente, nell'estate 2009, è uscito su Fire records il loro ultimo "Ballads Of The Revolution", di cui vi proponiamo una recensione più avanti...

di Dragging an Ox through Water, giusto una succinta bio:

Nato a Twin Fall, ID, Brian Mumford cresce muovendosi tra Oklahoma, Montana e Colorado. L'ambiente in cui nasce gli trasmette un precoce amore per il canto virtuosistico del country americano prima di sviluppare il gusto per i recording distorti e l'industrial. Il suo progetto Dragging an Ox through Water, in continua evoluzione, sposa il tipico accento lirico del country e del folk sporcandolo con feedback e distorsioni, droni, nastri e oscillatori autocostruiti, generando autentica "weird american music".

Ingresso: 8 euro
inoltre, per non non cozzare con lo spirito della giornata degli innamorati, le coppie che daranno significativa controprova del loro livello di affiatamento avranno (proporzionale) diritto ad uno sconto ad insindacabile giudizio del personale in cassa.


Due parole su "Ballads Of The Revolution"

Finalmente il figliol prodigo Tom Greenwood torna a casa. Un modo come un altro per dire che con Ballads Of The Revolution - un eufemismo? Il ricordo dei tardi '60 in fermento? - i suoi Jackie-O' Motherfucker ritornano su livelli di assoluta eccellenza, riscrivendo parzialmente le tavole della cosiddetta New Weird America. Stilisticamente il gruppo continua a gravitare attorno alla magnetica personalità del musicista di Portland - che non intende affatto distaccarsi dall'attitudine e dalla veste sonora che ne han fatto un'istituzione nei circuiti underground più esegeti, bensì prova a rendere più fascinoso il suo intruglio di psichedelia e libero folk tornando a confezionare canzoni degne di questo nome. Un piccolo smarrimento era occorso ai nostri, che giunti al traguardo del decimo album in studio, sembrano andare a nozze con sonorità certo lisergiche, eppure capaci di accogliere elementi di elettronica povera e di musica da western (lo stomp quasi morriconiano di Lost Jimmy Walen) come introspettivi passaggi giusto in bilico tra la recitazione del re lucertola ed i rintocchi chitarristici di Jerry Garcia.

Greenwood è l'unico sopravvissuto del nucleo originale, giunto al suo quindicesimo anno d'attività, nonostante i notevoli rimpasti di line-up. Di certo gli accompagnatori di questa rivoluzione virtuale si fanno sentire, il chitarrista Nick Bindeman ruba spesso la scena, immergendo la sua sei corde in un virale e vorticoso rito pagano.

Un occhio sempre severo alla tradizione non manca con la rivisitazione della ballata classica Nightingale , dove compare la pedal steel di Lewi Longmire, ma il desiderio di ricerca è sempre dietro l'angolo, soprattutto quando si interagisce con realtà moderne, come i Lucky Dragons, dei quali viene ripresa in chiave fortemente improvvisativa Dark Falcon, con alla voce un'ispirata Oney Owens, in arte Valet (Kranky).

Ballads Of The Revolution è un disco incredibile, capace di rimembrare lo spleen esistenziale di Mark Kozelek e dei suoi Red House Painters, il dream pop degli Opal e la tradizione delle grandi band di San Francisco in odore di Nuggets.

Una fascino antico rinnovato attraverso trovate sempre attuali, il rock desertico che diviene una scappatoia all'inferno metropolitano, Tom Greenwood sa ancora come cullarci, attraverso nenie dal sapore dissacrante, in uno spazio sospeso tra chitarre fuzz ed ululati che hanno ben poco di umano. Dall'improvvisazione radicale al country & western, con mille sfaccettature nel mezzo. Che sia proprio questo l'album definitivo di Jackie-O' Motherfucker?


di seguito qualche video, cominciando, con un minimo di autoreferenzialità, proprio dal pulse#77, il primo dicembre 2007...





qui invece un video di "Dragging an Ox through Water"

martedì 9 febbraio 2010

Pulse#123: ARBOREA (Borne!, USA) @ La Mela di Newton- Martedì 9 Febbraio, Padova

A.S.U. [Associazione Studenti Universitari] e La Mela di Newton presentano:
Pulse#123: Arborea (Borne!, USA)
arborea
http://www.myspace.com/arborea2 http://arboreamusic.blogspot.com/
Martedì 9 febbraio h. 20.45 @ La Mela di Newton, Padova

Rieccoci alla Mela... speravamo di inerrompere questo trend U.S.A. che ultimamente contraddistingue le proposte pulse (ri)proponendovi in febbraio Mi and L'au, ma l'ennesima posticipazione del tour ci costringe ad aspettare ancora... Poco male, recuperiamo cogliendo al volo l'occasione di ospitare gli ARBOREA, anche loro sulla medesima etichetta Borne! e anche loro coppia consolidata nell'ambito neo folk, ma di origine statunitense, nonché negli ultimi anni più prolifica ed attiva... (tre album in 4 anni, diverse apparizioni in compilation del settore, l'ultima delle quali, Leaves of Life é stata da loro stessi curata e annovera tra gli altri la partecipazione di vari pezzi grossi e prossimi astri della "scena" quali Devendra Banhart, Marissa Nadler, Rio en Medio, Micah Blue Smaldone, gli stessi Mi and L'au, Larkin Grimm e avanti dicendo... )

Provenienti dal Maine, gli Arborea sono uno dei nomi di punta del "neo folk" americano e il progetto é formato dal duo Buck e Shanti Curran (voce, percussioni, banjo e chitarre) al quale su disco si aggiunge la violoncellista Helena Espvell degli Espers. Dal loro incontro nasce una musica che ha solide radici nella musica proveniente dagli Appalachi, la musica folk tradizionale inglese, il folk psichedelico contemporaneo con presupposti sperimentali sommariamente quieti ma intensi. Da qui nasce"Arborea" il loro disco omonimo uscito quest'anno per la Fire Museum, accolto molto bene su Blow Up (8/10) e dalle altre riviste del settore. Le canzoni all'interno dell'album sono sospese ed eteree, anche grazie alla splendida voce di Shanti, che dona ai brani grazia e trasporto verso la loro terra, immersa nella natura più incontaminata e verde. Paragoni simili si possono fare solo per il primo album degli Espers e Fern Knight. Una musica unica: un barlume di antichità mischiato con l'avanguardia sperimentale di oggi, il tutto con un coinvolgimento ancestrale. Le capacità e la loro musica entra in completa sintonia con la natura e con gli alberi, da cui hanno preso spunto per il loro nome.