A.S.U. in collaborazione con la Mela di Newton presenta:
Pulse#129:
Brian Harnetty (Atavistic/Ruminance, USA)
[ Sperimentale / Folk / Ambient ]
http://www.myspace.com/brianharnetty http://www.brianharnetty.com/
+ Jeremy Woodruff (USA/DE)
http://www.jeremywoodruff.de/
Martedì 23 Marzo @ Circ. Arci La Mela di Newton
Via della Paglia, 2 - Padova
Novità occorsa nel frattempo: il set di Harnetty sarà aperto da Jeremy Woodruff, che lo accompagnerà anche durante il concerto. Di quest'ultimo, a dirla tutta, sappiamo pochino: sappiamo che è un compositore americano ma vive a Berlino (dai?), che suona il flauto e il sassofono e fa parte della Elliot Carter Band. Ah, e che ha un sito da cui si posson scaricare le sue composizioni. In PDF, però... Vedremo.
Su Harnetty, invece, c'è materiale in abbondanza, da cui si evince che prima di balzare agli onori di recensioni e copertine di riviste del settore a causa del disco edito l'anno scorso con Bonnie Prince Billy, "Silence City", il soggetto in questione ha senza dubbio studiato approfonditamente la materia, e tale materia si può definire "il sound Appalachiano", su cui Harnetty ha scartabellato archivi, recuperato testimonianze sonore, field recordings, programmi radio su cassette e chissà cos'altro, per un totalino non indifferente di 40 ore di materiale audio, per la maggior parte proveniente dal Berea College Appalachian Sound Archives, nel Kentucky. Sembrerebbero più le premesse per un'interessante conferenza che per un concerto, se non che Harnetty, diplomato in composizione alla Royal Academy of Music a Londra, approccia quello che poteva rivelarsi un'accademico episodio di archeologia musicale, dal punto di vista del sound artist, in grado di esprimere una sintesi personale del materiale selezionato, ricontestualizzata nel presente. Ne esce un primo album, American Winter del 2007, sempre su Atavistic, concettuale, a tratti freddo nella sua accezione documentaristica, ma di sicura efficacia evocativa. Durante la lavorazione ad American Winter, riporta Harnetty, la sensazione di captare nel materiale d'epoca i tratti distintivi della voce e della musica di Will Holdham é costante, tanto che decide di contattarlo: ne nasce una corrispondenza epistolare che però non riesce a trovare sfogo immediato sul versante musicale fino appunto all'anno scorso, in cui i due si incontrano in uno spazio appropriato e prende forma "Silent City", in cui Bonnie "Prince" Billy canta su tre tracce, come solo lui sa fare.
A riguardo vi lasciamo con due ottime recensioni: la prima, quella di Onda Rock, la trovate qui di seguito, mentre l'articolo che the Wire ha dedicato al disco, questo in inglese, è l'ultimo.
Chiudiamo menzionando il fatto che Harnetty è membro del Fossil Fools art collective ovvero un gruppo di artisti che si propone di creare opinioni e discussioni relative alle fonti energetiche tramite performance ed installazioni. Harnetty inoltre è stato tra gli artisti (insieme tra gli altri a Matteah Baim, Eat Tapes e Wang Inc) che hanno risposto alla call del simpatico progetto belga Audio Forest/Radio Forest: è stato proposto di fornire delle tracce audio in cui i musicisti reinterpretavano i "suoni della foresta" secondo la propria personale poetica (per capirci, mentre Harnetty è andato in giro per Ohio, California e Maine a caccia del field recording più rappresentativo, Eats Tapes ha riprodotto con sintetizzatori analogici i suoni dei grilli e di tanti altri animaletti che popolano la foresta...). Lo scopo di tutto ciò? Stabilire la reciprocità sonora tra il bosco e la superstrada che rumorosamente l'atraversa. La stazione radio, posta nel bosco, ritrasmette agli automobilisti in transito i suoni della foresta, su apposita frequenza FM. Per chi avesse dubbi, c'è il disegno, qui.
"Harnetty, come nei precedenti album, traccia anelli di congiunzione tra il passato e il presente con registrazioni rurali, voci catturate dalla radio, campionamenti che si uniscono a una strumentazione acustica a base di banjo, campanellini, piano giocattolo, fiddle, senza dimenticare il blues che tanto caratterizzò il suono delle prime band folk americane.
Quaranta minuti di musica silenziosa, sfuggente, ricca di atmosfera, il termine drone, altrove abusato, potrebbe calzare a pennello per molte delle incursioni sonore di Harnetty.
L'incanto che si realizza nella title track è solo un esempio della grandi intuizioni dei due musicisti, mentre in "The Top Hat" tutti gli strumenti vibrano verso un'unica, affascinante direzione, confondendosi in armonie e groove che si intercettano, una sintesi mirabile di folk e avantgarde che merita attenzione.
Hannerty usa i sampler in modo unico, gli strumenti e i ritmi non seguono una struttura tonale lineare, creando molti contrappunti col delizioso canto di Bonnie "Prince" Billy, anche i sampler delle voci si caratterizzano per le loro seducenti imperfezioni e per la mancanza apparente di musicalità, la bellezza è sprigionata con forme nuove e misteriose, la musica diventa un racconto che s'incrocia con le memorie e le istanze evocate dalle voci.
Toni più caldi e suggestivi spronano le creazioni di Harnetty verso lidi ipnotici, la voce di Bonnie "Prince" Billy raccorda i preziosi e insani ritmi di "And Under The Winesap", il concetto di folk rurale viene riscritto e svuotato di armonie superflue, la fragilità diventa la forza armonica di momenti preziosi come "It's Different Now", un suggestivo insieme di voci e suoni cristallini.
In "Silent City" ogni suono acustico o elettronico, nel suo interagire con l'elemento umano, diventa frutto naturale della memoria collettiva, le parole danno movimento a ogni episodio dell'album.
Come in ogni buon disco, non manca un piccolo capolavoro di perfezione emotiva e si chiama "Some Glad Day": solenne, liricamente robusto, il brano rappresenta l'alchimia sublime del nuovo folk rurale che diventa arte, dentro c'è il sogno, la vita, la morte, la poesia; tutto diventa un unico archivio di emozioni e speranze.
L'estasi finale di "To Hear Still More", costruita su harmonium e piano, fuga ogni dubbio sull'essenzialità di questo progetto. "Silent City" è un album dal linguaggio sonoro originale e forte, un punto di partenza per il futuro della nuova musica folk americana, i due musicisti fondono folk e musica elettronica un po' alla maniera di Eno e Byrne in "My Life In The Bush Of Ghosts", anche se una maggiore frammentarietà e un minor fascino esotico impediscono a "Silent City" di approdare all'eccellenza."
Gianfranco Marmoro, OndaRock.
ecco l'articolo di The Wire su Silent City di Harnetty:
"Two years ago Brian Harnetty, an ex-student of composer Michael Finnissy, released American Winter, an emotional encounter between his own music and a trawl through the Appalachian Sound Archives of Berea College in Kentucky. Some of its eeriest moments occur off-camera, as it were. During the opening piece "The Night Is Quite Advancing", an elderly woman is digging deep in her memory for words to a song she hasn't sung since she was a girl. Suddenly a gulf opens up and we hear her shock: "I've lost track! That did something to me - scared me to death." The final track, "We'll Look For You If We Come Back", captures an awkward moment between the archiving recordists and a toothless gent; is he asking for money, or maybe just trying to persuade them to keep him company a little longer? The process of collecting old songs is exposed as a strange, unpredictable human interaction, where subjects may tumble backwards into disturbing memories. While working on American Winter, Harnetty says, he "kept hearing elements of Will Oldham's voice in the old recordings", and started corresponding with the singer. He hoped to persuade Oldham (aka Bonnie 'Prince' Billy) to sing on that record, but schedules did not permit the collaboration until now. Silent City is another powerful personal statement in which the distant past and present are interwoven. Harnetty juxtaposes archive recordings with his own piano, banjo and accordion, and this odd co-existence generates a new poetic context for the bygone voices. Working like a novelist, he has immersed himself in an archive of field recordings - slices of past lives - and now emerges to create a new text, breathing new life into old chunks of sound by radically recontextualising them. Silent City is a more accessible album than its predecessor: Harnetty has reduced the surface complexity of his music, and raised the temperature by adding the warm tones of an electric piano. The core is still Harnetty's own piano, accordion and harmonium, but he has assembled a small group to flesh things out: drums, trumpet, vibes and clarinet. Lyrics were pieced together from folk song fragments (pulled from Berea recordings) and phrases drawn from Harnetty's memories of his father's rural hometown. The underlying concept is an amble around a small rural town. We seem to peer in at windows, each one from a different period of the past. Some of the archive elements recall the debut album - a track dissolves into the scrape of a foot-stamping folk fiddler, or a radio announcer from half a century ago stumbles while introducing the next live act. Harnetty's piano doesn't drive the music in a conventional manner, more as if it were a set of tuned bells, hanging notes around the room like decorations. "Well, There Are A Lot Of Stories" finds Harnetty's father reminiscing about prison life, surrounded by suspended chords on clarinet and accordion, and propelled forwards by Sam Paxton's drums. Alarmingly, Harnetty Senior used to play with the local prisoners as a schoolboy: "They were killers; and I was never afraid all the time I was there, hell, I could run faster than any of them." Elsewhere, "Papa Made That Last Verse Up" dives headlong into a long-ago parlour full of cackling laughter and family versions of a comic song. Amidst all of this, Oldham contributes three substantial vocal performances. Harnetty likes vocal and backing simply to share the same space, rather than neatly interlock, and Oldham's voice is deployed here somewhat as the cobwebby archive tapes were on American Winter, creating a further slippage between the present and past. Oldham's singing is fragile but firm, adding both mystery and focus to the album. "And Under The Winesap Tree" floats his vocal across Harnetty's accompaniment as if the singer is dimly recalling the song from his youth. "Sleeping In The Driveway" is a love song from a timid admirer, watching a girl asleep in her car, hearing the radio quietly playing, not daring to approach. The high point is "Some Glad Day", where Oldham dips a tad lower in his vocal range and comes up with a lovely evocation: "Brick-making prison; tobacco in the grass; some glad day we'll all arrive." The song, for all its otherworldly drift, works like a hymn, in which only the first line changes for each verse. This is the experimental end of Bonny 'Prince' Billy's oeuvre: gentle and solemn, it recalls his Get On Jolly (2000) collaboration with Dirty Three member Mick Turner, where the lyrics were picked from devotional verses by Bengali poet Rabindranath Tagore (1861-1941). Harnetty's teacher Finnissy has long been developing his own take on folk music. In the late 1970s he wrote and performed a raucous, unsentimental piano suite called English Country-Tunes. For this two-fingers-aloft project the accent was firmly on the first syllable of the second word. For him the piece was "most simply, a totentanz - a dance of death, a lament, a wake - celebrating arcadia, the product of a long fantasy tradition of 'rural innocence'... The remainder is made up of a series of responses to, meditations and variations upon, the 'issue' of folk-music, and how one integrates it now (with meaning and vitality) into 'art-music'." Well, putting quotes around all your terms is a start. Finnissy's bracing counterblast against English pastoralism was a way of wresting folk song back from the clammy hands of Vaughan Williams. Meanwhile Brian Harnetty creates a space to work with a wealth of American folk, parlour music, radio shows and roaming archivists. Silent City weaves a melancholy spell of chiming pianos and vibraphones, much aided by Paxton's lowkey but eloquent drumming. By the closing "To Hear Still More" - backwards piano over purring harmonium bass - we are in deep, under the music's hypnosis." Clive Bell the wire magazine october, 2009
Some Glad Day from Brian Harnetty on Vimeo.
Sleeping in the Driveway from Brian Harnetty on Vimeo.
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