giovedì 14 aprile 2011

pulse#161: Stranded Horse (FRA, Talitres) - VE 15/4/11 @ La Mela di Newton, PD

A.S.U. in collaborazione con la Mela di Newton presenta:
Pulse#161

Stranded Horse (FRA, Talitres)
Strande Horse

[ Etnno Folk/ Chanson/ Cantautorato/ Musica ipnotica ]

http://www.theestrandedhorse.com/ http://www.myspace.com/theestrandedhorse

Venerdì 15 Aprile,
h. 21.15 @ La Mela di Newton
Via della Paglia, 2 - Padova



Altro caso di gradito ritorno a Padova, quello del francese Yann Tambour, in arte prima Encre, poi Thee, Stranded Horse, e adesso, previa elisione dell'arcaico Thee, solo Stranded Horse.
Era stato nostro ospite anche lui nel 2007 (come gli A Hawk and a Hacksaw di due settimane fa), in occasione di
Pulse#76, data tanto partecipata quanto apprezzata ai Carichi Sospesi.

Yann ora ritorna dunque ospite della proposta pulse, in un perido quanto mai azzeccato, venendo a chiudere se vogliamo il discorso iniziato non più tardi di domenica scorsa con il bellissimo concerto per chitarra a dodici corde di James Blackshaw.

Torna, dicevamo, e con un nuovo album, "Humbling Tides", dopo essersi fatto desiderare per 4 anni: la sua soluzione è ancora in linea con il precedente "Churning Strides": son sempre presenti le sue due Kora, le arpe/zucca di origine africana (qui potete farvene un'idea molto dettagliata), la chitarra e la sua voce, ma nel nuovo lavoro trovano spazio
anche violino e violoncello, la maestria nativa nell'utilizzo delle Kora del musicista del Mali Ballaké Sissoko (figlio d'arte) senza contare una decisamente accresciuta maturità artistica e compositiva dello stesso Yann.

Seppure il nostro rimanga sempre debitore alle atmosfere evocate da mostri sacri del genere quali potrebbero essere Devendra Banhart per un certo utilizzo della voce, il già recentemente citato John Fahey per le strutture arpeggiate che Yann estrae dalle corde delle sue Kora, di primo acchito molto simili a quelle del fingerpicking, o Drake, Kozelek e Bolan per il lavoro cantautoriale, il suo lavoro è comunque fresco, personale e capace di fondere tratti apparentemente distantissimi (un traditional di origine medievale, le sonorità africane, e c'è addirittura una cover degli Smiths - "What Difference Does It Make").

Per quanto concerne al nuovo disco vi lascio all'ottima recensione dell'album da parte del sempre puntuale staff di OndaRock, che a gennaio l'aveva eletto a disco del mese, mentre sempre a proposito dell'opera di capitalizzazione del pregresso di cui si parlava nella newsletter relatva ad A Hawk and a Hacksaw, vi ripropongo anche quanto scritto in occasione di
Pulse#76.
Vi rimandiamo inoltre alla sezione prossime date, dove abbiamo alla posizione pulse
#162 abbiamo un'inaspettato cambiamento...

dalla newsletter
pulse#76:

Thee, Stranded Horse è il nome del progetto di Yann Tambour, talento francese in forze all'ottima etichetta Talitres che tra i vari titoli annovera: Piano Magic, Ralfe Band, Calla, Early Day Miners e Idaho.
Ad un primo ascolto il suo disco d'esordio, "Churning Strides", ci porge immediatamente delle affinità con il mood banhartiano,
ma la genuina innocenza del suonato, la circolarità degli arrangiamenti di chitarra e Kora, ed il fluido respiro delle canzoni non possono che catturarci con lo scorrere dei minuti, e man mano rivelare la spiccata personalità musicale di Yann, frutto di suggestioni variegate ma assolutamente coerenti (dalle poliritmie africane, al blues del delta), e di passioni viscerali, quale quella per la Kora, lo strumento tradizionale originario dell'Africa occidentale che Yann suona con maestria e che contribuisce al retrogusto esotico delle sue melodie.
Gli stati d'animo si addensano attorno a motivi scheletrici , quasi dal sapore medievale, mentre la voce richiama malinconie imputabili a Nick Drake e Marc Bolan.
"A volte sussura, altre il suo cantato accarezza toni rabbiosi. E nel mentre non smette mai di tessere accordi come se fossero i fili di un'intricatissima ragnatela. Canzoni un po' spettrali tanto scheletriche, basate unicamente sul suono dei suoi strumenti e della sua voce, tinte fosche che non si diradano mai. Giri ipnotici, ripetuti e continuamente intarsiati ed arricchiti da nuovi intrecci."


http://www.theestrandedhorse.com/ http://www.myspace.com/theestrandedhorse
http://it.youtube.com/watch?v=c4SKKaEObtY



dalla recensione di
Humbling Tides di Ondarock:

STRANDED HORSE
Humbling Tides
(Talitres) 2011

di Raffaello Russo


Il francese Yann Tambour non è uno di quei reclusivi cultori di linguaggi arcani, né uno dei tanti artisti "occidentali" folgorati da quelle tradizioni di altri mondi che ultimamente riscuotono discreto successo in ambiti musicali indipendenti. E, ovviamente, non ha nemmeno origini o ascendenze che giustifichino un interesse etnografico per i suoni e la cultura africana.
Anzi, il suo peculiare percorso artistico dà conto di un'attività cominciata alle prese con un'elettronica romantica e pulsante sotto l'alias Encre (un paio di album nei primi anni del Duemila, tra i quali merita di essere segnalato in particolare l'ottimo "Flux", del 2004), che trova il suo primo punto di svolta nel 2006, con l'Ep "Encre A Kora", nel quale scopre per la prima volta la kora, la tradizionale arpa-liuto suonata dalla popolazione di etnia mandinka dell'Africa occidentale.
L'anno seguente Tambour assume la denominazione di Thee, Stranded Horse, pubblicando "Churning Strides", album a base di chitarra, kora e accenni di canzoni, opera di indubbio fascino ma fin troppo uniforme a causa di un amalgama strumentale non del tutto compiuto e di una scrittura ancora abbastanza acerba.

E così, dopo varie esperienze che comprendono l'incontro con Ballaké Sissoko, si arriva al tempo presente, all'elisione del "Thee" e dunque a quello che a tutti gli effetti si può considerare il secondo capitolo della seconda vita artistica di Yann Tambour. Scritto per la maggior parte nel 2008, durante un periodo di soggiorno a Bristol, e oggetto di una lunga e meticolosa rifinitura nella sua Normandia, "Humbling Tides" trae le mosse dai medesimi presupposti del suo predecessore, sviluppandoli tuttavia nella duplice direzione di una maggiore definizione compositiva e di una più compiuta integrazione di sonorità speziate con retaggi di tradizioni europee più o meno risalenti.
Negli otto brani di "Humbling Tides" non vi è infatti semplicemente un ponte gettato attraverso il Mediterraneo da un'artista di moderna sensibilità europea, ma anche e soprattutto la ricerca di un sincretismo espressivo che trascende quella, più superficiale e scontata, di un ipotetico tratto comune tra enigmatico misticismo africano ed espressioni arcaiche della musica europea, quali quella dei cantori e dei bardi rinascimentali.

Ne risulta un disco essenzialmente incentrato sul picking chitarristico e sulla danza delle dita di Tambour tra le ventuno corde della kora, che a sua volta dà luogo a un andamento altrettanto vivace di note che rifulgono serafiche al pari della sua voce morbida, assumendo ora le tonalità cristalline di un solitario canto alla luna, ora accenti ritualistici più tipicamente ancestrali. Ma v'è di più, poiché, ben lungi da un interesse di tipo "turistico", l'artista francese riesce a fare proprie le sonorità dell'Africa più profonda, rielaborando alla loro luce madrigali e cantiche medievali, spunti di raffinato lirismo e persino un'ardita cover degli Smiths ("What Difference Does It Make", che bissa, con esito decisamente migliore, l'esperimento condotto nel disco precedente con la "Misty Mist" di Marc Bolan).
Se infatti le calde sfumature e le iterazioni melodiche di "And The Shoreline It Withdrew In Anger" e "Shields" possono far balenare collegamenti con la purezza acustica di un Mark Kozelek o di uno José González, la continua alternanza di intonazioni e l'inarcarsi impetuoso della parte centrale di "Halos" (undici minuti) e della danza propiziatoria del finale di "They've Unleashed The Hounds For The Wedding" evocano un ascetismo misterioso, la densità del cui corpo sonoro si mantiene a debita distanza da eccessi virtuosistici.

Non mancano nemmeno disorientanti traslazioni sotto un cielo africano di un grigio inverno parigino, riuscite con rara compiutezza nei sussurri della prima parte di "They've Unleashed The Hounds For The Wedding" e negli unici due brani cantati in francese, "Les Axes Déréglés" e "Le Bleu Et L'Éther", opportunamente arricchiti dal violino di Carla Pallone (Mansfield.TYA) e dal violoncello di Joseph Roumier, che conferiscono un alone romantico a chanson che, in particolare nel secondo caso, non disdegnano di sfociare in dialoghi post-cameristici tra armonizzazioni e sibili sinistri. Ma, oltre alla coesione conseguita tra gli eterogenei elementi costitutivi del lavoro, il dato che più colpisce rispetto al retroterra artistico di Tambour è la sostanziale analogia di alcune cadenze e strutture armoniche (soprattutto in "They've Unleashed The Hounds For The Wedding" e "Jolting Moon") con quelle delle composizioni elettroniche firmate Encre; completamente diversi gli strumenti, comune la "firma" di sequenze di note rilucenti, che alternano inerzie incantate a movenze oblique, ora rallentate ora giustapposte in frequenze incrementali.

E anche per questo "Humbling Tides" risulta in definitiva un convincente tentativo di stabilire un contatto tra una post-modernità scevra da operazioni ricognitive formali e tradizioni musicali primigenie abitualmente trascurate dai recuperi del passato, pur così frequenti nell'attuale costellazione indipendente.

(01/01/2011)

http://www.ondarock.it/recensioni/2011_strandedhorse.htm




Nessun commento: